Don Nello Senatore:
Questo convegno è un atto di coraggio perché
dietro a questo convegno ci sono tutta una serie di ideologie
e di interessi economici. Mettere insieme due colossi significa
in qualche modo far vivere un’esperienza esaltante .
Non so se riusciremo a rispondere poi alla domanda: NON SI
E’ SENTITA. Però l’aver tentato significa
già aver intrapreso una strada. Il merito di tutto
questo va al Dott. Panella e all’azienda che rappresenta,
la Starnet, un’azienda consolidata nel salernitano e
nella provincia. Ma il convegno ha una sua tonalità
perché vicino a me ci sono degli eminentissimi rappresentanti
di questo mondo, a vario titolo, il dott. Luca Jannuzzi, dirigente
responsabile; come rappresentante della microsoft c’è
il Dott. Carlo Iantorno, il direttore marketing, che ci spiegherà
il senso del software proprietario; il senatore Fiorello Cortiana,
che ha firmato una proposta di legge affinché questo
software libero fosse adottato dalle amministrazioni, l’ing.
Alessandro Rubini, rappresentante del mondo del software libero.
Poi ci siete voi, utenti e protagonisti, non più figure
passive, ma ormai sapete entrare nei problemi. Ringraziamo
chi ci ospita, Soccorso Amico.
Provveditore, dott. Luca Jannuzzi: L’avvento
dell’informatica ha reso possibile l’autonomia
scolastica, le scuole possono operare perché oggi,
in tempo reale, i dirigenti scolastici hanno delle notizie
che prima avevano attraverso delle circolari che arrivavano
filtrate da noi. Questa possibilità avvicina direttamente
il centro alla periferia e rende fattibile un discorso di
utenza, quindi, di soddisfacimento di diritti e di necessità
dell’utenza, e dei ragazzi che hanno la possibilità
di essere più a contatto con la realtà che li
circonda. Si passa da un sistema centrale e verticistico,
ad un sistema diffuso nel quale le esigenze possono trovare
migliore soddisfacimento. Naturalmente questo è un
discorso di evoluzione, ci vorrà del tempo. Oggi siamo
in un periodo di transizione, e come tutti i periodi di transizione,
come quello della globalizzazione, della informatizzazione
è un momento che se sappiamo cogliere e sfruttare nelle
sue potenzialità diventa un patrimonio, altrimenti
è un qualcosa che può dare dei fastidi. In una
concezione un po’ negativa di questo è il cosiddetto
hacker, colui il quale utilizza il sistema per creare danni
e non per dare apporti benefici. L’input che voi dovete
acquisire è di utilizzare questa capacità che
voi possedete, che forse ora in docenti non hanno, ma che
nel giro di tre anni attraverso un progetto di informatizzazione
possiederanno tutti, in un meccanismo attraverso il quale
voi dovete crescere, e sapere utilizzare il sistema informatico.
Oggi c’è una possibilità di conoscere,
di entrare attraverso questo video in qualsiasi parte, avete
la possibilità di scandagliare tutto, dovete essere
però guidati in questa scelta, perché disperdersi
e non sapere più ritrovare il senso di quello che si
vuole cercare, significa perdere il senso di ciò che
si vuole ricercare, quindi una oculata utilizzazione e conoscenza
del mezzo, che deve essere assistita da qualcuno che seguendo
degli indirizzi un po’ più finalizzati, vi consenta
di evolvervi. Siamo già nel sistema Europa, in cui
due sono gli elementi importantissimi: l’informatica
e le lingue. Senza di questi voi non siete cittadini europei
o cittadini che possono interagire nella globalità.
Un domani un qualsiasi ragazzo o lavoratore, inglese o francese,
può tranquillamente concorrere per il nostro comune,
voi potete fare la stessa cosa. Questo tipo di apertura quindi
comporta che voi dovete elevare la vostra capacità,
dovete conoscere. Si passa da una scuola di massa ad una scuola
di èlite, nel senso di coloro i quali hanno qualità.
La scuola deve diventare questo, questa è la via che
noi stiamo percorrendo. Le difficoltà sono tantissime
ma con l’apporto di tutti possiamo riuscire.
Moderatore (Don Nello Senatore) : Il provveditore
esprimeva questo senso di modernità, la modernità
però ha una radice nel passato, arriviamo addirittura
ad Aristotele, Platone: la conoscenza, la conoscenza rimane
un punto fermo.
Dott. Iantorno: Io ho iniziato ad usare
l’informatica quando avevo più o meno la vostra
età, allora il concetto di software praticamente non
esisteva, era la fine degli anni 70, esisteva il computer,
questo gigante, che produceva numeri e riusciva ad elaborare
grandi quantità di numeri per unità di tempo.
Quindi non c’era questa divisione fra software, hardware
e le altre forme di lavoro all’interno dell’informatica.
Il software veniva prodotto dallo stesso produttore dell’hardware
e veniva dato insieme con l’hardware. Quando è
nato il personal computer all’inizio degli anni 80,
è venuto fuori il concetto del software pacchettizzato,
cioè il computer di per sé nasce con delle interfacce
standard, note a chi vuole sviluppare delle applicazioni per
il computer, allora diverse società si sono messe a
commerciare software pacchettizzato, quindi funzionalità
software in pacchetti separati. E nascono le cosiddette industrie
del software, il software ora è abbastanza importante
e ha generato molte innovazioni. Negli ultimi 15 anni è
nato un movimento parallelo che è contro l’idea
del commerciare il software, è il movimento che va
sotto il nome di open source, è un movimento che dice
che la proprietà intellettuale del software non dovrebbe
essere utilizzata, e questo dovrebbe garantire maggiore innovazione
e un ecosistema globale più efficiente. Quindi ci sono
due punti di vista, da un lato chi crede che far produrre
software per profitto o per uno scopo economico riesca a generare
maggiore innovazione nella società, dall’altro
chi crede invece che il software, se lasciato produrre liberamente
ed in una maniera collaborativi da chiunque voglia contribuire
a questa produzione, questo stimoli una crescita spontanea
che creerà ancora più innovazione e sarà
ancora più benefica per la società. Sono due
filosofie di approccio del software nella società,
anche se hanno molti punti in comune, perché diversi
aspetti sono fra le due cose in comune. Per esempio, negli
anni, la produzione del software fatta dal cosiddetto movimento
open source ha alimentato anche il lato commerciale del software,
esiste una modalità di distribuzione del software,
che oramai data di almeno 20 anni,che è la cosiddetta
Berkley software distribution, che praticamente ha prodotto
software e lo ha reso disponibile a tutti coloro che volevano
utilizzarlo sia per scopi commerciali che per scopi non commerciali.
La domanda che è anche la domanda di questo convegno
è: dobbiamo limitare la libertà di produrre
software commerciale? Dando questa limitazione di libertà
al software commerciale e alimentando con pressioni legislative
o con altre forme il cosiddetto software libero, creeremmo
una società più competitiva, più innovativa?
Ing. Rubini: Ringrazio il dottor Intorno
per aver proposto una posizione non troppo libera e piuttosto
falsa. Purtroppo dato l’entusiasmo di molte persone
per poter usare sistemi diversi da quelli che utilizzavano
prima si sono diffusi un certo numero di miti. Noi non siamo
contro la commercializzazione, la proprietà intellettuale,
non siamo convinti che il software debba crescere spontaneamente.
Siccome il software oggi è informazione pura, come
l’informazione dei giornali, dei libri o della musica,
e in quanto tale è protetto dalla normativa del diritto
d’autore. Il software oggi è informazione pura
ma ha un aspetto anche funzionale abbastanza forte, per cui
oggi molte delle nostre azioni sono controllate da quello
che il software fa, le transazioni bancarie, le comunicazioni
telefoniche e altre cose. Secondo noi, è giusto che
l’utente di questi sistemi abbia accesso all’informazione
che ha comprato e sia autorizzato a modificarla, a copiarla
e a distribuire le modifiche che ha fatto su questa informazione.
Questo non vuol dire andare contro la proprietà intellettuale,
tanto è vero che le nostre licenza si basano fortemente
sul diritto d’autore, cioè gli autori hanno diritto
ovviamente ad una remunerazione per il lavoro che fanno e
al riconoscimento del loro lavoro. Se l’autore non limita
quello che l’utente può fare, comunque offre
un servizio migliore per l’utente stesso e questo non
va contro la commercializzazione. Ovviamente il problema della
sostenibilità economica di un sistema di distribuzione
libera delle informazioni è un problema abbastanza
interessante. La cosa principale che mi interessava dire era
che la panoramica generale che ha dato è fondamentalmente
giusta ma è quella in qualche modo mitica, da parte
nostra non ci poniamo né contro la commercializzazione
né contro la proprietà intellettuale. Con nostra
io intendo la Source foundation, la Source foundation europea
di cui faccio parte e quelle persone che condividono questo
tipo di posizione. Come in tutti i movimenti, ci sono delle
persone che non sono d’accordo con me, che pensano che
il software libero dovrebbe essere gratis,che pensano alcune
cose che sono state dette da Intorno.
Dott. Iantorno: Stiamo dando per scontato
alcune cose, non so se tutti sanno come funziona il computer,
il computer sostanzialmente ha l’intelligenza di un
batterio e bisogna che io gli dia delle informazioni per poterlo
far lavorare. Nel momento in cui scrivete una lettera il computer
non saprebbe cosa fare, c’è stato un programmatore
che ha spiegato al computer cosa fare. Un bambino quando nasce
sa fare poche cose, e con la crescita quindi impara perché
alcune persone gli hanno dato delle informazioni, se volessimo
spiegare a qualcuno che non sa mangiare gli spaghetti come
fare, ci vorrebbe qualcuno che scomponesse questo meccanismo
complesso in un meccanismo più semplice, fatto di tante
operazioni semplici che il mio interlocutore sappia fare.
Considerando che il computer sa fare addizioni e sottrazioni
questo significa che un qualsiasi programmino impiega centinaia
di migliaia di codici di istruzioni, tante piccolissime operazioni
che il computer è in grado di fare e che messe insieme
danno il risultato finale. Ogni computer ha bisogno di un
software di base, cioè ha bisogno di un sistema operativo,
che fa alcune cose, la più importante è quella
di frapporsi fra l’uomo e la macchina, cioè l’uomo
ha un suo linguaggio generalmente basato o su testi o su immagini,
quindi il sistema operativo Windows ,o comunque i sistemi
omologhi del software libero, comunque uno guardando le immagini
dà degli ordini, fa delle richieste. Per il computer
queste cose non hanno nessun senso, c’è bisogno
di qualcuno che le traduca. Questo lavoro di traduzione lo
fa il software di base, cioè si frappone fra l’uomo
e la macchina, cioè gli altri software, i software
applicativi, quello che permette di scrivere una e-mail, il
programma per la videoscrittura e tutti gli altri programmi,
non sono altro che insieme di istruzioni che qualcuno con
il suo lavoro ha fatto, e che permette al computer di fare
quelle operazioni.
Moderatore (Don Nello Senatore): Il senatore
Cortiana ha assunto su di sé queste problematiche,
che non sono solo di ordine scientifico o tecnico ma investono
tutta la gente, la popolazione, il nostro paese, alla luce
di questo egli si è fatto carico di presentare un progetto.
Senatore Cortiana: Sono un parlamentare
dei Verdi, ci siamo sempre occupati di ecologia in chiave
anche culturale, qui i Verdi in quanto forza politica sono
molto interessati e sensibili alle questioni dell’ecologia
della comunicazione. La dimensione nuova dell’informatica
indubbiamente è quella che mette in luce quanto tutto
questo possa significare, stia già significando nei
fatti in cambio di civiltà, dal lavoro, alla relazione
informativa, alle comunicazioni sociali. Come parlamentare
ho cercato si sensibilizzare su questo i colleghi, già
dalla scorsa legislatura. Nella scorsa legislatura, giocando
un po’ sulla competizione fra Camera e Senato siamo
riusciti a far dare i computer ai parlamentari sia della Camera
che del Senato, il grosso di questi computer sono andati ai
figli o ai collaboratori, però già in questa
legislatura vedo sui tavoli dei colleghi più computer.
Ho cercato di promuovere insieme a questo disegno di legge
anche un gruppo parlamentare, bicamerale, trasversale, sull’innovazione
tecnologica e la cittadinanza telematica perché è
proprio la natura di quei cambiamenti richiede una definizione
anche di una nuova cittadinanza, anche di nuovi diritti, di
nuovi doveri, di norme che in qualche modo li definiscano
e li tutelino. Ho raccolto una settantina di adesioni tra
Camera e Senato, di parlamentari sia del centro-destra che
del centro-sinistra, e anche la presentazione di questo disegno
di legge non è stata fatta solo come centro-sinistra,
come Ulivo o come Verdi, ma è stata fatta in questa
chiave aperta. Ed è iniziata martedì, in questa
settimana, la trattazione di questo disegno di legge. Il problema
non è limitare la libertà di impresa di chi
produce software proprietari, il problema è favorire
lo sviluppo del software libero. Perché? Voglio usare
un esempio molto semplice. Ci sono due modi per prendere la
macchina: il noleggio con una scadenza, o l’acquisto,
per cui chi acquista l’auto può fare anche delle
modifiche al motore, alla macchina. Io credo che se noi capiamo
questo esempio banalmente nel mondo del software, dobbiamo
capire che quando uno acquista del software proprietario,
acquista la licenza d’uso di quel software. Quando uno
acquista del software libero, ma anche le edizioni open source,
lo acquista, paga, ma acquista il software, che può
non solo vedere nel codice sorgente, questo open source, quindi
il codice da cui quel tipo di applicazione trae tutte le indicazioni
e quindi io posso vedere quella applicazione cosa fa, viceversa
io pago un’applicazione per svolgere determinate funzioni,
non so se per caso ne fa anche altre, per me magari non desiderati.
Per esempio, io pago un’applicazione per mandare della
posta, manda la posta, io non so se la posta che mando e che
ricevo può essere selezionata da qualcun altro. Questo
è un problema per chiunque, ma nella pubblica amministrazione,
fra gare di appalto o per le cartelle sanitarie dei singoli
cittadini, questo aspetto della sicurezza è una questione.
Ma l’aspetto interessante del software libero, questo
va calato nella dimensione dell’alfabeto, questo è
un alfabeto di tipo antropologico, come le note, gli accordi,
in questo caso sono gli algoritmi, uno acquistando i software
liberi o gli open source può anche modificare i codici,
quindi fare ulteriori adattamenti, perché magari per
una certa funzione che ha acquistato, lui ha bisogno, data
la sua attività, di modificarla in un certo modo per
consentirgli di svolgere meglio l’applicazione che serve
a lui. Gaber in una canzone aveva detto che La libertà
è partecipazione. Io credo che nella società
dell’informazione, delle comunicazioni in cui già
siamo da trenta anni, arriva il nodo al pettine del sistema
industriale italiano, basato sulla produzione di auto, FIAT,
credo che a tutt’oggi il sistema paese, in tutte le
sue versioni, centro-destra, centro-sinistra, non è
riuscito a elaborare il lutto, prendendo atto che siamo appieno
in una dimensione post-industriale. In questa dimensione il
carico informativo di ogni tipo di prodotto che sia il Packaging
in cui vengono avvolte la caramelle, che sia una nuova auto,
il carico informativo è enorme, per ogni prodotto e
superiore rispetto alla dimensione produttiva. Anzi nel mondo
dell’informatica e del software è l’informazione
organizzata che diventa il prodotto, allora io credo che non
si possano scambiare gli alfabeti per prodotti. Io credo che
un indigeno dell’Amazzonia, che da determinate piante
ha tratto per sapienza secolare, non per sapere, perché
non ha fatto l’Accademia, l’informazione rispetto
all’utilità nella cura di determinate patologie,
dei principi interni a quella pianta, quando vedo una multinazionale
farmaceutica brevettargli quei principi della pianta, come
se fosse un’invenzione e non una scoperta di qualcosa
che già c’è, o brevettare sequenze geniche,
quindi pezzi dell’alfabeto del DNA, come invenzione,
è come se qualcuno volesse brevettare le notti, o degli
accordi, il giro di DO. Questo sta avvenendo, tanto è
che i familiari di John Cage che è un musicista d’avanguardia
americano hanno fatto causa ad un giovane rapper che in un
pezzo ha messo trenta secondi di silenzio, che Cage in un
pezzo storico famoso chiamato 4’33’’ mise
minuti di silenzio, l’intuizione artistica fu interessante.
Del resto la comunicazione artistica è data da vuoti
e pieni, da più o meno, anche nella musica, la diversità
tra un tono e l’altro, è giocata con intervalli
di silenzio. Però si brevetta il silenzio. Dal punto
di vista democratico, il futuro di questo pianeta è
legato alla possibilità di accesso, alla possibilità
di parlare, di utilizzare gli alfabeti, sia nella sfera biologica,
che in quella antropologica e in questa qua gli alfabeti degli
algoritmi. Questa è una questione molto precisa. Rubini
ha fatto bene a precisare che il software libero o open source
non significa gratuito, c’è lavoro dietro, c’è
molto lavoro in servizi, in consulenze, di persone che per
mestiere devono anche adattare, modificare i codici, però
c’è l’accesso all’alfabeto. Allora,
in una pubblica amministrazione tutto ciò ha un’importanza
straordinaria, perché da un lato quell’aspetto
che ho detto, però banalmente, non è soltanto
il sistema operativo che determina la sicurezza, però
è un elemento. Però c’è un altro
elemento. La pubblica amministrazione è un tessuto
dell’articolazione del patto sociale in un paese democratico,
cioè è l’articolazione istituzionale.
Ha molto a che a fare con il mondo dell’impresa, con
il mondo della sussidarietà, e della cittadinanza.
E’ evidente che l’adozione privilegiata di software
libero nella pubblica amministrazione costituisce una condivisione
di sapere, di sapienza e di esperienza che consente uno sviluppo
di un approccio di questo genere.
Domanda (Dott. Ettore Panella): Avete detto
che il fatto di conoscere le istruzioni che compongono un
programma (del software libero uno conosce tutte le istruzioni,
del software proprietario voi avete un programma eseguibile
da installare), questo va bene per un tecnico, ma per la signora
che sta dietro un banco che differenza fa? Che impatto ha?
Cortiana: Il mio problema non è
la signora dietro il banco, il mio problema è la signora
che si organizza come imprenditrice dietro il banco, avere
un’applicazione che è di sua proprietà,
che può modificarla rispetto al tipo di clienti, a
cui fa servizio a domicilio, in base a quello che fa. Quello
che so è che nella pubblica amministrazione ha questa
valenza e faccio un esempio molto preciso. La pubblica amministrazione
si occupa di informatica da tantissimo tempo. La Provincia
di Milano venti anni fa aveva un settore informatico che aveva
una torre di avorio di tecnocrati, che oltre a fare le buste
paga informatizzate, probabilmente passava il suo tempo a
fare consulenze o a fare sistemi per il calcio, o per altre
cose di questo genere. Io credo che l’adozione di software
libero automaticamente non definisce e trasforma per magia,
tutti i funzionari pubblici in programmatori. Però
sicuramente la possibilità di mettere mano al codice
sorgente, per adattare delle applicazioni costruisce una relazione,
tra il funzionario pubblico che ha bisogno di esigenze particolari,
che ha l’esperienza del settore di cui si occupa, mettiamo
ad esempio il settore dei giovani, e il tecnico programmatore.
Vuol dire una condivisione ed una relazione tra sapere e sapienza
che ha un’importanza enorme. Tutto questo comporta e
consente un contributo sociale straordinario. Però
voglio tornare un passo indietro. La possibilità di
condivisione del sapere e quindi di accesso all’alfabeto
e ai codici sorgenti, invece, consente già oggi a milioni
di persone di concorrere alla messa a punto delle applicazioni
del software libero. Il software libero normalmente è
più stabile, non ha buchi, perché sono milioni
le persone che concorrono e hanno concorso a trovare il problema
e la soluzione migliore, l’istruzione più rapida.
Questo è perché a nostro avviso la pubblica
amministrazione, che in quanto tale, dovrebbe rispondere a
interessi generali, perché la politica pubblica risponde
a interessi generali, deve adottare questo, ma in via privilegiata,
non in via esclusiva, non contro la libertà del software
proprietario, probabilmente anzi si definiranno nuovi equilibri
all’orizzonte con standard aperti e quindi dialoganti
tra software proprietario e software libero.
Domanda del moderatore (Don Nello Senatore) ai ragazzi:
Chi ha capito la differenza tra software libero e software
proprietario?
Risposta: Con il software libero ognuno
può mettere mano, quindi personalizzarlo, invece con
il software proprietario ognuno deve utilizzarlo senza avere
la possibilità di personalizzarlo.
Moderatore (Don Nello Senatore): il senatore
parlava di alfabeto, un esempio è fra parola e linguaggio.
La parola è di tutti, il linguaggio è un’impalcatura
con dei codici precisi in cui c’è comunicazione.
Attilio Barra: Sono laureato in Scienze
delle comunicazioni e da 25 anni sviluppo quella che secondo
me è una professione, anche se poi sono iscritto, con
la mia azienda, all’Associazione industriali, ho il
contratto metalmeccanico.
…il senatore facendo degli esempi ha paragonato all’automobile
o alla scatola di caramelle o quant’altro. Il software
non è un prodotto assimilabile. Però è
un prodotto, che per sviluppare con certi criteri e certi
crismi di qualità ha bisogno di grossi investimenti.
Software libero non significa software gratis, a discapito
del produttore, però significa comunque software aperto.
Intanto io mi chiedo come si possa intervenire con delle personalizzazioni
sul software di cui non si abbia la documentazione tecnica,
analitica precisa. Molte volte a noi stessi produttori, intervenire
su un software applicativo che abbiamo sviluppato anni fa
costituisce non poche difficoltà, proprio perché
è frutto di ingegno e quindi suscettibile, al di là
degli standard che il titolare dell’azienda se è
esperto ha voluto dare, i collaboratori hanno una loro capacità
di esprimere e quindi non sempre si riesce poi a risalire
alla logica che ha seguito per realizzare quella applicazione.
Quindi se è difficile per chi ha prodotto, sarà
assurdo per chi lo ha acquistato e semplicemente lo utilizza,
poter intervenire in maniera efficace sull’applicativo.
E’ il punto di vista di chi ha investito 25 anni in
questa attività. E’ importante che se ne parli
in Parlamento, comunque. La pubblica amministrazione ha la
necessità di poter verificare certe acquisizioni che
fa in termini di software. Però io le chiederei, senatore,
di intervenire prima su un’attività di disinquinamento
della pubblica amministrazione, perché ci giochiamo,
se viene fuori l’obbligo di lasciare i sorgenti della
pubblica amministrazione, al 90% non ne faranno l’uso
per cui lei sta lottando, al 90% ne faranno una sottrazione
di software.
Intervento (dott. Ettore Panella): Secondo
me, non hai scelto l’interlocutore giusto, l’interlocutore
giusto è l’ing. Rubini, perché se un ragazzo
dice di voler copiare la musica di un dato cantautore, lo
capisco, è una scelta economica. Ma se l’autore
dicesse di voler dare la musica gratis, lì mi sorgerebbe
un dubbio. E l’ing. Rubini è uno che vive col
software e questo mi lascia molto perplesso, e che sicuramente
interessa i ragazzi che si stanno avviando ad una nuova professione.
Questa domanda può interessare i ragazzi che stanno
per fare delle scelte. Molti sono della quinta, devono scegliere
se investire nel software proprietario o nel software libero,
e il senso di questo incontro è anche dimostrare le
due possibilità. La domanda è: ma voi come vivete?
Altre domande sono: Dov’è il lavoro? Quale di
queste scelte secondo voi per dei ragazzi del Sud, di Salerno,
è migliore, gli darà maggiori risultati?
Ing. Rubini: Innanzitutto c’è
questo mito del sorgente. Da una parte prendo un applicativo
proprietario che sia della Corel, della Apple, o altro, faccio
clic e questo si installa. Dall’altra parte prendo un
applicativo libero, faccio clic e questo si installa. A me,
non come professionista, ma come persona che utilizza solo
il regolatore(?), il fatto che ci sia il sorgente non interessa.
Però, se per caso, come diceva il senatore, mi trovo
nella necessità di dover mettere le mani su questo
sistema, posso farlo. Tutti hanno difficoltà a mettere
le mani in sistemi vecchi, aggiungere un cavo in un impianto
elettrico nuovo è assolutamente facile, mettere le
mani nell’impianto elettrico di 30 anni fa è
un bagno di sangue, non è che il software in questo
è differente. La cosa importante per noi è che
l’autore o il distributore degli applicativi, e dei
sistemi operativi, non crei nei confronti dell’utente
un rapporto di sudditanza. La maggior parte degli utenti comunque
torneranno da quel fornitore, perché non possono mettere
le mani, però se quel fornitore non c’è
più, possono andare da un altro fornitore, che spesso
a costi molto più alti può metterci le mani.
Se io ho un’auto di una particolare marca, nell’officina
di quella marca ci impiegano meno e costa meno. Lo so che
è diverso, infatti secondo me il software non è
un prodotto, non come dice lei è un prodotto diverso,
non è un prodotto, è un servizio. Esiste l’agricoltura,
esiste l’industria, esiste il settore dei servizi. Il
settore software è informazione pura, come l’editoria,
come la musica, è nel settore dei servizi. Quindi,
secondo me, non esiste una industria del software. Io non
la chiamo industria, perché è una produzione,
una raccolta, una organizzazione di informazione. Il suo timore
per l’organizzazione pubblica, lei dice se io gli do
il sorgente, loro lo copiano. Ma se la licenza d’uso,
che viene richiesta, permette la copia, è giusto così.
Se l’amministrazione pubblica richiede un applicativo
per fare una particolare cosa in trentamila copie, questo
costa in lire 300.000.000 , da dividere per 30.000 copie.
Se l’amministrazione pubblica ottiene dai produttori
il permesso di copia e modifica dell’applicazione, la
compra, altrimenti va da un altro fornitore. Questo fornitore
risponderà che se il prodotto gli costa 300 milioni,
chiede all’amministrazione pubblica 300 milioni. Il
costo per l’amministrazione pubblica è lo stesso,
il guadagno per il fornitore è lo stesso, però
l’amministrazione pubblica non dipende fortemente dal
fornitore. Ne dipende in qualche modo perché l’autore
più facilmente può mettere le mani nel programma
che ha scritto.
Dott. Iantorno: Va innanzitutto chiarito
che cosa vuol dire codice, codice sorgente, questo è
abbastanza importante. Il codice sorgente sono le modalità
in cui si disegna e si realizza un’applicazione software.
Queste modalità sono molteplici, nel senso che esiste
un codice sorgente, qual è quello che viene prodotto
da un normale linguaggio quale basic o C o Java etc. ma esistono
anche strumenti a più alto livello che consentono la
formazione di software senza scrivere il codice sorgente ma
dando solamente, con l’aiuto di un’applicazione
software le indicazioni su come questo codice viene prodotto.
D’altra parte, il codice sorgente è un concetto
ancora più generale perché come molti sanno,
anche l’hardware di per sé è fatto come
il software. La grandissima parte dell’hardware infatti
è microcodice, l’hardware è fatto da elettronica
abbastanza “stupida” e il resto dell’hardware
è realizzato con microcodici. Allora immaginate una
legge italiana che impone ai costruttori di hardware di pubblicare
il microcodice, che significa pubblicare l’architettura,
le proprietà dell’hardware? Pubblicare il codice
significa pubblicare tutta l’intelligenza. Poiché
non esiste in realtà una definizione unitaria di codice,
pubblicare il codice alla fine significa pubblicare il disegno,
l’intelligenza e come le funzionalità sono realizzate
di un progetto software. Questo è un concetto che può
essere applicato a tutti i settori industriali, è come
se noi consigliassimo a coloro che disegnano una nuova linea
di BMW, di pubblicare le modalità con cui il disegno
della e del motore, che poi sono anche fatte come delle descrizioni
software. Tra l’altro, ora, il linguaggio XML consente
di scrivere qualsiasi prodotto industriale con modalità
software. Quindi i prodotti industriali, e il software in
particolare, non devono più avere “segreti”
dal punto di vista della logica di disegno di questi prodotti,
significa scomparsa della proprietà intellettuale.
Questo va benissimo, io, come cittadino italiano potrei essere
teoricamente d’accordo, però voglio che il parlamento
e le commissioni che indagano e che studiano questo fenomeno
rispondano alla seguente domanda: ma questo genererà
maggiore innovazione oppure provocherà una fortissima
crisi nel tessuto industriale? L’innovazione è
quella che ci consente oggi di dire che prodotti come questo
semplice portachiavi, piccolissimo, contiene 64 MB di memoria.
Venti anni fa lavoravamo con floppy disk che avevano poche
decine di KB di memoria. Su questo portachiavi posso permettermi
di memorizzare tutti i miei dati e andare in giro e ho tutti
i miei documenti, è provocato o no dall’innovazione
che è stata fatta anche grazie agli investitori che
sulla propria pelle hanno fatto questa scommessa e l’hanno
proposta sul mercato? Io sono meridionale, e come meridionale
credo che una delle forti fortissime leve di innovazione e
di possibilità di progresso del Meridione sia la possibilità
di far nascere aziende anche software che sulla base dell’impegno
e della fatica delle persone possono andare sul mercato e
prendere le risorse commerciali per continuare ad investire
così come fanno nelle università della California,
nella cintura di Boston e in altre parti del mondo.
Senatore Cortiana, in risposta al dott. Barra:
Io ho fatto per circa due anni l’amministratore in Regione
Lombardia, e uno dei servizi si occupava dei piani regolatori,
quindi di aspetti fondiari e immobiliari. Anche lì
gli architetti e gli urbanisti a volte utilizzavano una rendita
di posizione, di sapere e di informazione, per tradire il
mandato pubblico per cui erano lì e li ho mandati in
galera o a casa. Il problema non è neanche se è
difficile, non è che tutti diventano programmatori
perché si usa il software libero. Io mi sono laureato
in Statale a Milano in materie umanistiche, non saprei fare
il suo lavoro, mi occupo di marketing e comunicazione. Non
saprei fare un lavoro ingegneristico nell’informazione,
per essere chiari. Però se un programma è anche
difficile, se è vecchio, ma qualora io volessi, è
da vedere se sono in grado, se trovo un ingegnere che sia
in grado, qui stiamo parlando della proprietà della
conoscenza. Io credo che una dimensione condivisa e partecipata
favorisce lo sviluppo di protagonismo, anche sotto il profilo
imprenditoriale, non solo sotto il profilo professionale,
perché la gente diventa competente. Microsoft recentemente,
cambiando una impostazione di marketing e comunicazione che
aveva preso di petto la questione dell’open source e
del software libero, per un anno, in modo anche abbastanza
violento, chiamando demagoghi quelli come me, che da parlamentari
se ne occupavano, invece ha introdotto recentemente l’ipotesi
e la pratica di Shared code, cioè Microsoft dice: “A
un cliente privilegiato che sceglie un partenariato preciso
con me, attraverso un accordo, consento di vedere il codice”.
Allora c’è già un primo passo, vuol dire
che non è una cosa così idiota vedere il codice,
però non gli consento di modificarlo. E io dico no!
Va bene che Microsoft consenta questo, se ha dei prodotti
che rispondono a delle esigenze, a delle necessità,
che hanno mercato, è bene che faccia questo, ma devi
consentire a chi invece sul mercato mette prodotti il cui
codice non solo si guarda ma si può modificare, di
farlo, per modificarlo avrà indubbiamente bisogno di
ingegneri, creerà una relazione tra la sapienza di
chi vive un determinato bisogno e il sapere degli ingegneri
che adattando il codice vanno incontro a quel bisogno.
Moderatore: Vorremmo ora coinvolgere il
popolo della scuola.
Dott. Panella: La cosa che a me interessa
vedere è se grazie a questo convegno sono state capite
le differenze.
Domanda di un’insegnante al senatore Cortiana
: L’iniziativa della diffusione dell’hardware
non poteva essere estesa anche ai docenti delle scuole che
si trovano a dover fare di continuo aggiornamenti sul software,
senza aver poi a disposizione personale degli strumenti, quale
l’hardware.
Domande degli alunni:
Questo è ciò che accade in Italia e negli altri
paesi?
Quali sono i prezzi del software libero e del software proprietario?
Domanda di un’insegnante: Il linux
viene distribuito a prezzi molto competitivi, come mai il
Windows ha prezzi così alti?
Per quanto riguarda gli standard del software libero, quali
sono gli standard e delle regole per le modifiche?
Ing. Rubini: E’ vero che oggi è
difficile definire cosa è il sorgente, però
il sorgente è definito come la forma preferenziale
per modificare un programma, per cui in base agli strumenti
che si utilizzano il sorgente è in una forma o in un’altra
forma. Riguardo allo sviluppo tecnologico, a me va bene che
quando mi vendono un oggetto fisico, se l’oggetto fa
il lavoro che mi hanno promesso che faccia, non mi interessa
se è fatto con l’hardware intelligente o stupido
e del microcodice, diverso è quando quello che si distribuisce
è informazione pura, nel caso dei programmi che girano
su elaboratori convenzionali generici. Per cui non vogliamo
che i produttori dell’hardware ci diano i microcodici,
l’importante è che ci diano le specifiche di
programmazione. Invece che nel proprio dispositivo hardware
mette software che non ha scritto lui, ovviamente non essendone
autore, è vincolato da quello che l’autore gli
permette. Quindi se io ho un palmare con un sistema operativo
new linux devo avere insieme all’eseguibile, anche il
sorgente, questo anche se non è possibile cambiare
il software dentro alla macchina, perché in questo
caso chi mi distribuisce l’hardware non ha scritto lui
il programma, ma è vincolato. Attualmente chi distribuisce
l’hardware con il suo software sceglie la propria forma.
E su questo noi non mettiamo becco, se l’hardware è
chiuso, se ha una funzionalità hardware e non una funzionalità
semplicemente di informazione. Per gli altri paesi si sta
discutendo in tutto il mondo di queste cose, in genere, anzi,
le licenze d’uso che utilizziamo noi sono scritte in
lingua inglese e non esiste una traduzione ufficiale in lingua
italiana, in modo che tutte le discussioni si basino su un
unico testo, che ciascuno potrà leggere in traduzione,
ma quello che è realmente valido è il testo
in lingua inglese. Il lavoro che c’è da fare,
in Italia in particolare, è il lavoro di traduzione,
perché molti programmi sono ancora solo in lingua inglese,
però sono disponibili anche solo in lingua inglese,
perché la copia è permessa. Sui prezzi, ogni
produttore, ogni distributore fa i prezzi che gli servono
per poter sostenere la propria attività, però
se il software è libero c’è il permesso
di copia per cui uno invece di vendere tante copie a poco
prezzo, può vendere la singola copia al prezzo che
effettivamente all’industria costa. Questo succede anche
nel campo medico e legale, sono settori commerciali che si
basano solo sull’informazione e tutta la informazione
è pubblica. Per quanto riguarda gli standard, se il
programma, non è possibile che il formato con cui cambia
i dati o con cui comunica sia nascosto. Quindi se l’autore
non documenta bene comunque possono trovarsi le informazioni,
d’altro canto esistono degli organismi di tecnici, delle
organizzazioni, dei consorzi che comunque si occupano di definire
degli standard e in genere chi produce si adegua a questo
standard per avere la interoperabilità. Se io modifico
un programma che comunica secondo un certo standard e la mia
copia non è più conforme a questo standard,
ovviamente la mia copia non parlerà con gli altri programmi,
ma non è un problema.
Senatore Fiorello Cortiana: In particolar
modo voglio rispondere alla domanda sulla scuola. E’
evidente che sono riuscito a convincere allora Violante e
Mancino, ma i soldi erano della Camera e del Senato, qua i
soldi sono del Bilancio, ne dispone il governo, non la Camera
e il Senato. Invece, nella recente e adesso passata alla Camera
Riforma Moratti, sono riuscito a far passare un emendamento
che traduce la ??? informatica berlusconiana in favorire e
sviluppare quegli approcci che prevedono condivisione e cooperazione.
Quindi la dizione non è esplicita, così non
si suscita neanche tensioni ideologiche, di mercato, di operatori,
su software libero, di proprietario, però indubbiamente
dà un segno coerente con quanto detto finora, per cui
a mio avviso gli alfabeti sono un bene universale, che deve
restare nelle disponibilità pubbliche di queste e delle
future generazioni. Oggi ho letto sui giornali che Berlusconi
ha detto che riempirà di computer le scuole, spero
che sia vero e lo vedremo. Proporrò, ne ho parlato
con il ministro Moratti e lei mi ha dato disponibilità,
di fare una commissione di indagine parlamentare che ha una
struttura e delle autonomie particolari, per cui mi sono proposto
come presidente per verificare la condizione attuale nella
scuola, della vicenda informatica, in genere, e per verificare
le possibilità e le vie di riduzione di un gap evidente
tra una società dell’informazione che è
quella in cui viviamo e la natura della comunicazione. Ci
sono 35 milioni di africani che probabilmente moriranno perché
sono sieropositivi o possono diventarlo con buona probabilità,
e non avranno a disposizione farmaci, perché le multinazionali
del farmaco hanno messo un veto rispetto alle possibilità
che i principi brevettati dei loro farmaci potessero essere
riprodotti in farmaci fatti in loco che avessero lo stesso
uso. Il risultato sarà che più persone moriranno.
Ora ho detto questo non per fare della facile demagogia a
effetto, ma per dire che credo che questioni come la salute
delle persone e del pianeta, le informazioni e la conoscenza,
il diritto siano parte dell’interesse generale e in
qualche modo sono le imprese nella loro legittimità
che devono fare i conti con questo interesse generale. Non
può accadere che l’interesse generale venga subordinato
all’esigenza dell’impresa che è giustamente
fare profitto comunque. Possibilmente con minor costi, minori
diritti da pagare etc. Quindi la questione della proprietà
della conoscenza, non soltanto su algoritmi, ma anche rispetto
la sfera biologica, ha a che fare con la battaglia che è
in corso a Porto Alegre e a Davos, dove un presidente come
Lula sarà dall’una e dell’altra parte a
porre le stesse questioni, come rendiamo un mondo non solo
più giusto, ma possibile, perché viceversa ci
esplode tra le mani con guerre e disastri.
Dott. Iantorno: Vorrei iniziare con un completamento
sulla disquisizione sulla nozione di hardware. Chi sa cosa
è un Router? Il Router è un computer che è
alla base della infrastruttura internet del mondo. E’
un computer e le funzionalità di routing sono completamente
realizzate via software attraverso un sistema operativo che
è il sistema operativo di rete. Il router è
uno dei pezzi più proprietari che esistono, e il livello
di dominio di quel mercato è sicuramente maggiore di
quello che la Microsoft ha sul software. Il senatore si è
mai occupato di rendere libero il codice che sta nei Router?
Che controllano la nostra infrastruttura internet nel nostro
paese e nel mondo? Il teorema che la proposta di legge del
senatore Cortiana sostiene può essere sintetizzato
in pochissime parole. Il senatore praticamente dice di non
voler limitare la libertà commerciale, il software
proprietario vada pure avanti, se vuole, però dal punto
di vista preferenziale si consigli, per esempio alle pubbliche
amministrazioni che chiunque voglia fare business pubblichi
i codici. Ora, se io pubblico il codice del mio prodotto,
posso ancora essere sul mercato? Non è possibile. Ci
sarà un altro che produce la stessa cosa per cui io
sono obbligato a mettere un prezzo che è praticamente
zero. Esiste la possibilità per un’azienda software
di sostenersi così. Mandrake è appena fallita,
Redhat, su 70 milioni di dollari di fatturato, fa 50 milioni
di perdite? Non esiste alcun esempio al mondo di azienda software
che si sostiene con il software open source. Allora perché
Windows ha un prezzo? Perché dobbiamo pagare i programmatori.
Non possiamo sviluppare Windows nel week end o di notte, i
programmatori devono essere pagati. Il mio punto di vista
è il seguente, le leggi, il Parlamento e le istituzioni
pubbliche dovrebbero in primo luogo fare uno sforzo per capire
quali sono le modalità perché l’informatica
italiana possa generare innovazione e competitività.
Per cui, io personalmente, anche come cittadino italiano,
non vedrei di buon occhio regolamentazioni che limitino la
possibilità del settore commerciale del software, di
operare in maniera completa nel pieno rispetto della comunità.
Io ho gran rispetto tuttavia per il movimento open source
e tutto quello che ci sta dietro in senso collaborativo, di
produzione di software in maniera collaborativa fra decine,
centinaia di migliaia di persone, ma non credo francamente
che quello possa essere una premessa perché il software
diventi commercialmente valido. Se fossi in voi ragazzi, non
mi preoccuperei della sottile differenza che ci sta fra open
source e software commerciale, ma mi occuperei dell’informatica
e basta, cercherei di capiral, produrrei del software, userei
del software, penserei all’innovazione ed al progresso
che l’informatica sta dando.
Moderatore(Don Nello Senatore): Resta la
domanda, “Software libero o software proprietario?”
Dott. Panella: La domanda era provocatoria.
Il nostro scopo non era arrivare ad una conclusione, ma dare
su questo argomento agli insegnanti, alle scuole, ai ragazzi,
l’idea che vi fossero delle cose diverse da quelle che
normalmente si conoscono. Esistono molti programmatori che
lavorano per Microsoft, e molti che hanno scelto la strada
del software libero. Il sito della Microsoft è www.microsoft.it,
il sito del software libero, www.softwarelibero.org. Potete
visitarli, farvi una vostra idea, ma oggi sapete che c’è
questa differenza, che tanti non sapevano. |