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Istituto Tecnico Industriale
Basilio Focaccia
Salerno

 
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ATTI 

Venerdì 24 gennaio 2003
ore 10.00 - 13.00

Software libero - Software proprietario
Ne resterà uno solo?

SALUTI:

Dott. Luca Iannuzzi

RELATORI:

Sen. Fiorello Cortiana (Verdi), Dott. Carlo Iantorno, Ing. Alessandro Rubini

MODERATORE:

Sac. Dott. Nello Senatore

PROVOCATORE:

Dott. Ettore Panella

 

Don Nello Senatore: Questo convegno è un atto di coraggio perché dietro a questo convegno ci sono tutta una serie di ideologie e di interessi economici. Mettere insieme due colossi significa in qualche modo far vivere un’esperienza esaltante . Non so se riusciremo a rispondere poi alla domanda: NON SI E’ SENTITA. Però l’aver tentato significa già aver intrapreso una strada. Il merito di tutto questo va al Dott. Panella e all’azienda che rappresenta, la Starnet, un’azienda consolidata nel salernitano e nella provincia. Ma il convegno ha una sua tonalità perché vicino a me ci sono degli eminentissimi rappresentanti di questo mondo, a vario titolo, il dott. Luca Jannuzzi, dirigente responsabile; come rappresentante della microsoft c’è il Dott. Carlo Iantorno, il direttore marketing, che ci spiegherà il senso del software proprietario; il senatore Fiorello Cortiana, che ha firmato una proposta di legge affinché questo software libero fosse adottato dalle amministrazioni, l’ing. Alessandro Rubini, rappresentante del mondo del software libero. Poi ci siete voi, utenti e protagonisti, non più figure passive, ma ormai sapete entrare nei problemi. Ringraziamo chi ci ospita, Soccorso Amico.

Provveditore, dott. Luca Jannuzzi: L’avvento dell’informatica ha reso possibile l’autonomia scolastica, le scuole possono operare perché oggi, in tempo reale, i dirigenti scolastici hanno delle notizie che prima avevano attraverso delle circolari che arrivavano filtrate da noi. Questa possibilità avvicina direttamente il centro alla periferia e rende fattibile un discorso di utenza, quindi, di soddisfacimento di diritti e di necessità dell’utenza, e dei ragazzi che hanno la possibilità di essere più a contatto con la realtà che li circonda. Si passa da un sistema centrale e verticistico, ad un sistema diffuso nel quale le esigenze possono trovare migliore soddisfacimento. Naturalmente questo è un discorso di evoluzione, ci vorrà del tempo. Oggi siamo in un periodo di transizione, e come tutti i periodi di transizione, come quello della globalizzazione, della informatizzazione è un momento che se sappiamo cogliere e sfruttare nelle sue potenzialità diventa un patrimonio, altrimenti è un qualcosa che può dare dei fastidi. In una concezione un po’ negativa di questo è il cosiddetto hacker, colui il quale utilizza il sistema per creare danni e non per dare apporti benefici. L’input che voi dovete acquisire è di utilizzare questa capacità che voi possedete, che forse ora in docenti non hanno, ma che nel giro di tre anni attraverso un progetto di informatizzazione possiederanno tutti, in un meccanismo attraverso il quale voi dovete crescere, e sapere utilizzare il sistema informatico. Oggi c’è una possibilità di conoscere, di entrare attraverso questo video in qualsiasi parte, avete la possibilità di scandagliare tutto, dovete essere però guidati in questa scelta, perché disperdersi e non sapere più ritrovare il senso di quello che si vuole cercare, significa perdere il senso di ciò che si vuole ricercare, quindi una oculata utilizzazione e conoscenza del mezzo, che deve essere assistita da qualcuno che seguendo degli indirizzi un po’ più finalizzati, vi consenta di evolvervi. Siamo già nel sistema Europa, in cui due sono gli elementi importantissimi: l’informatica e le lingue. Senza di questi voi non siete cittadini europei o cittadini che possono interagire nella globalità. Un domani un qualsiasi ragazzo o lavoratore, inglese o francese, può tranquillamente concorrere per il nostro comune, voi potete fare la stessa cosa. Questo tipo di apertura quindi comporta che voi dovete elevare la vostra capacità, dovete conoscere. Si passa da una scuola di massa ad una scuola di èlite, nel senso di coloro i quali hanno qualità. La scuola deve diventare questo, questa è la via che noi stiamo percorrendo. Le difficoltà sono tantissime ma con l’apporto di tutti possiamo riuscire.

Moderatore (Don Nello Senatore) : Il provveditore esprimeva questo senso di modernità, la modernità però ha una radice nel passato, arriviamo addirittura ad Aristotele, Platone: la conoscenza, la conoscenza rimane un punto fermo.

Dott. Iantorno: Io ho iniziato ad usare l’informatica quando avevo più o meno la vostra età, allora il concetto di software praticamente non esisteva, era la fine degli anni 70, esisteva il computer, questo gigante, che produceva numeri e riusciva ad elaborare grandi quantità di numeri per unità di tempo. Quindi non c’era questa divisione fra software, hardware e le altre forme di lavoro all’interno dell’informatica. Il software veniva prodotto dallo stesso produttore dell’hardware e veniva dato insieme con l’hardware. Quando è nato il personal computer all’inizio degli anni 80, è venuto fuori il concetto del software pacchettizzato, cioè il computer di per sé nasce con delle interfacce standard, note a chi vuole sviluppare delle applicazioni per il computer, allora diverse società si sono messe a commerciare software pacchettizzato, quindi funzionalità software in pacchetti separati. E nascono le cosiddette industrie del software, il software ora è abbastanza importante e ha generato molte innovazioni. Negli ultimi 15 anni è nato un movimento parallelo che è contro l’idea del commerciare il software, è il movimento che va sotto il nome di open source, è un movimento che dice che la proprietà intellettuale del software non dovrebbe essere utilizzata, e questo dovrebbe garantire maggiore innovazione e un ecosistema globale più efficiente. Quindi ci sono due punti di vista, da un lato chi crede che far produrre software per profitto o per uno scopo economico riesca a generare maggiore innovazione nella società, dall’altro chi crede invece che il software, se lasciato produrre liberamente ed in una maniera collaborativi da chiunque voglia contribuire a questa produzione, questo stimoli una crescita spontanea che creerà ancora più innovazione e sarà ancora più benefica per la società. Sono due filosofie di approccio del software nella società, anche se hanno molti punti in comune, perché diversi aspetti sono fra le due cose in comune. Per esempio, negli anni, la produzione del software fatta dal cosiddetto movimento open source ha alimentato anche il lato commerciale del software, esiste una modalità di distribuzione del software, che oramai data di almeno 20 anni,che è la cosiddetta Berkley software distribution, che praticamente ha prodotto software e lo ha reso disponibile a tutti coloro che volevano utilizzarlo sia per scopi commerciali che per scopi non commerciali. La domanda che è anche la domanda di questo convegno è: dobbiamo limitare la libertà di produrre software commerciale? Dando questa limitazione di libertà al software commerciale e alimentando con pressioni legislative o con altre forme il cosiddetto software libero, creeremmo una società più competitiva, più innovativa?

Ing. Rubini: Ringrazio il dottor Intorno per aver proposto una posizione non troppo libera e piuttosto falsa. Purtroppo dato l’entusiasmo di molte persone per poter usare sistemi diversi da quelli che utilizzavano prima si sono diffusi un certo numero di miti. Noi non siamo contro la commercializzazione, la proprietà intellettuale, non siamo convinti che il software debba crescere spontaneamente. Siccome il software oggi è informazione pura, come l’informazione dei giornali, dei libri o della musica, e in quanto tale è protetto dalla normativa del diritto d’autore. Il software oggi è informazione pura ma ha un aspetto anche funzionale abbastanza forte, per cui oggi molte delle nostre azioni sono controllate da quello che il software fa, le transazioni bancarie, le comunicazioni telefoniche e altre cose. Secondo noi, è giusto che l’utente di questi sistemi abbia accesso all’informazione che ha comprato e sia autorizzato a modificarla, a copiarla e a distribuire le modifiche che ha fatto su questa informazione. Questo non vuol dire andare contro la proprietà intellettuale, tanto è vero che le nostre licenza si basano fortemente sul diritto d’autore, cioè gli autori hanno diritto ovviamente ad una remunerazione per il lavoro che fanno e al riconoscimento del loro lavoro. Se l’autore non limita quello che l’utente può fare, comunque offre un servizio migliore per l’utente stesso e questo non va contro la commercializzazione. Ovviamente il problema della sostenibilità economica di un sistema di distribuzione libera delle informazioni è un problema abbastanza interessante. La cosa principale che mi interessava dire era che la panoramica generale che ha dato è fondamentalmente giusta ma è quella in qualche modo mitica, da parte nostra non ci poniamo né contro la commercializzazione né contro la proprietà intellettuale. Con nostra io intendo la Source foundation, la Source foundation europea di cui faccio parte e quelle persone che condividono questo tipo di posizione. Come in tutti i movimenti, ci sono delle persone che non sono d’accordo con me, che pensano che il software libero dovrebbe essere gratis,che pensano alcune cose che sono state dette da Intorno.

Dott. Iantorno: Stiamo dando per scontato alcune cose, non so se tutti sanno come funziona il computer, il computer sostanzialmente ha l’intelligenza di un batterio e bisogna che io gli dia delle informazioni per poterlo far lavorare. Nel momento in cui scrivete una lettera il computer non saprebbe cosa fare, c’è stato un programmatore che ha spiegato al computer cosa fare. Un bambino quando nasce sa fare poche cose, e con la crescita quindi impara perché alcune persone gli hanno dato delle informazioni, se volessimo spiegare a qualcuno che non sa mangiare gli spaghetti come fare, ci vorrebbe qualcuno che scomponesse questo meccanismo complesso in un meccanismo più semplice, fatto di tante operazioni semplici che il mio interlocutore sappia fare. Considerando che il computer sa fare addizioni e sottrazioni questo significa che un qualsiasi programmino impiega centinaia di migliaia di codici di istruzioni, tante piccolissime operazioni che il computer è in grado di fare e che messe insieme danno il risultato finale. Ogni computer ha bisogno di un software di base, cioè ha bisogno di un sistema operativo, che fa alcune cose, la più importante è quella di frapporsi fra l’uomo e la macchina, cioè l’uomo ha un suo linguaggio generalmente basato o su testi o su immagini, quindi il sistema operativo Windows ,o comunque i sistemi omologhi del software libero, comunque uno guardando le immagini dà degli ordini, fa delle richieste. Per il computer queste cose non hanno nessun senso, c’è bisogno di qualcuno che le traduca. Questo lavoro di traduzione lo fa il software di base, cioè si frappone fra l’uomo e la macchina, cioè gli altri software, i software applicativi, quello che permette di scrivere una e-mail, il programma per la videoscrittura e tutti gli altri programmi, non sono altro che insieme di istruzioni che qualcuno con il suo lavoro ha fatto, e che permette al computer di fare quelle operazioni.

Moderatore (Don Nello Senatore): Il senatore Cortiana ha assunto su di sé queste problematiche, che non sono solo di ordine scientifico o tecnico ma investono tutta la gente, la popolazione, il nostro paese, alla luce di questo egli si è fatto carico di presentare un progetto.

Senatore Cortiana: Sono un parlamentare dei Verdi, ci siamo sempre occupati di ecologia in chiave anche culturale, qui i Verdi in quanto forza politica sono molto interessati e sensibili alle questioni dell’ecologia della comunicazione. La dimensione nuova dell’informatica indubbiamente è quella che mette in luce quanto tutto questo possa significare, stia già significando nei fatti in cambio di civiltà, dal lavoro, alla relazione informativa, alle comunicazioni sociali. Come parlamentare ho cercato si sensibilizzare su questo i colleghi, già dalla scorsa legislatura. Nella scorsa legislatura, giocando un po’ sulla competizione fra Camera e Senato siamo riusciti a far dare i computer ai parlamentari sia della Camera che del Senato, il grosso di questi computer sono andati ai figli o ai collaboratori, però già in questa legislatura vedo sui tavoli dei colleghi più computer. Ho cercato di promuovere insieme a questo disegno di legge anche un gruppo parlamentare, bicamerale, trasversale, sull’innovazione tecnologica e la cittadinanza telematica perché è proprio la natura di quei cambiamenti richiede una definizione anche di una nuova cittadinanza, anche di nuovi diritti, di nuovi doveri, di norme che in qualche modo li definiscano e li tutelino. Ho raccolto una settantina di adesioni tra Camera e Senato, di parlamentari sia del centro-destra che del centro-sinistra, e anche la presentazione di questo disegno di legge non è stata fatta solo come centro-sinistra, come Ulivo o come Verdi, ma è stata fatta in questa chiave aperta. Ed è iniziata martedì, in questa settimana, la trattazione di questo disegno di legge. Il problema non è limitare la libertà di impresa di chi produce software proprietari, il problema è favorire lo sviluppo del software libero. Perché? Voglio usare un esempio molto semplice. Ci sono due modi per prendere la macchina: il noleggio con una scadenza, o l’acquisto, per cui chi acquista l’auto può fare anche delle modifiche al motore, alla macchina. Io credo che se noi capiamo questo esempio banalmente nel mondo del software, dobbiamo capire che quando uno acquista del software proprietario, acquista la licenza d’uso di quel software. Quando uno acquista del software libero, ma anche le edizioni open source, lo acquista, paga, ma acquista il software, che può non solo vedere nel codice sorgente, questo open source, quindi il codice da cui quel tipo di applicazione trae tutte le indicazioni e quindi io posso vedere quella applicazione cosa fa, viceversa io pago un’applicazione per svolgere determinate funzioni, non so se per caso ne fa anche altre, per me magari non desiderati. Per esempio, io pago un’applicazione per mandare della posta, manda la posta, io non so se la posta che mando e che ricevo può essere selezionata da qualcun altro. Questo è un problema per chiunque, ma nella pubblica amministrazione, fra gare di appalto o per le cartelle sanitarie dei singoli cittadini, questo aspetto della sicurezza è una questione. Ma l’aspetto interessante del software libero, questo va calato nella dimensione dell’alfabeto, questo è un alfabeto di tipo antropologico, come le note, gli accordi, in questo caso sono gli algoritmi, uno acquistando i software liberi o gli open source può anche modificare i codici, quindi fare ulteriori adattamenti, perché magari per una certa funzione che ha acquistato, lui ha bisogno, data la sua attività, di modificarla in un certo modo per consentirgli di svolgere meglio l’applicazione che serve a lui. Gaber in una canzone aveva detto che La libertà è partecipazione. Io credo che nella società dell’informazione, delle comunicazioni in cui già siamo da trenta anni, arriva il nodo al pettine del sistema industriale italiano, basato sulla produzione di auto, FIAT, credo che a tutt’oggi il sistema paese, in tutte le sue versioni, centro-destra, centro-sinistra, non è riuscito a elaborare il lutto, prendendo atto che siamo appieno in una dimensione post-industriale. In questa dimensione il carico informativo di ogni tipo di prodotto che sia il Packaging in cui vengono avvolte la caramelle, che sia una nuova auto, il carico informativo è enorme, per ogni prodotto e superiore rispetto alla dimensione produttiva. Anzi nel mondo dell’informatica e del software è l’informazione organizzata che diventa il prodotto, allora io credo che non si possano scambiare gli alfabeti per prodotti. Io credo che un indigeno dell’Amazzonia, che da determinate piante ha tratto per sapienza secolare, non per sapere, perché non ha fatto l’Accademia, l’informazione rispetto all’utilità nella cura di determinate patologie, dei principi interni a quella pianta, quando vedo una multinazionale farmaceutica brevettargli quei principi della pianta, come se fosse un’invenzione e non una scoperta di qualcosa che già c’è, o brevettare sequenze geniche, quindi pezzi dell’alfabeto del DNA, come invenzione, è come se qualcuno volesse brevettare le notti, o degli accordi, il giro di DO. Questo sta avvenendo, tanto è che i familiari di John Cage che è un musicista d’avanguardia americano hanno fatto causa ad un giovane rapper che in un pezzo ha messo trenta secondi di silenzio, che Cage in un pezzo storico famoso chiamato 4’33’’ mise minuti di silenzio, l’intuizione artistica fu interessante. Del resto la comunicazione artistica è data da vuoti e pieni, da più o meno, anche nella musica, la diversità tra un tono e l’altro, è giocata con intervalli di silenzio. Però si brevetta il silenzio. Dal punto di vista democratico, il futuro di questo pianeta è legato alla possibilità di accesso, alla possibilità di parlare, di utilizzare gli alfabeti, sia nella sfera biologica, che in quella antropologica e in questa qua gli alfabeti degli algoritmi. Questa è una questione molto precisa. Rubini ha fatto bene a precisare che il software libero o open source non significa gratuito, c’è lavoro dietro, c’è molto lavoro in servizi, in consulenze, di persone che per mestiere devono anche adattare, modificare i codici, però c’è l’accesso all’alfabeto. Allora, in una pubblica amministrazione tutto ciò ha un’importanza straordinaria, perché da un lato quell’aspetto che ho detto, però banalmente, non è soltanto il sistema operativo che determina la sicurezza, però è un elemento. Però c’è un altro elemento. La pubblica amministrazione è un tessuto dell’articolazione del patto sociale in un paese democratico, cioè è l’articolazione istituzionale. Ha molto a che a fare con il mondo dell’impresa, con il mondo della sussidarietà, e della cittadinanza. E’ evidente che l’adozione privilegiata di software libero nella pubblica amministrazione costituisce una condivisione di sapere, di sapienza e di esperienza che consente uno sviluppo di un approccio di questo genere.

Domanda (Dott. Ettore Panella): Avete detto che il fatto di conoscere le istruzioni che compongono un programma (del software libero uno conosce tutte le istruzioni, del software proprietario voi avete un programma eseguibile da installare), questo va bene per un tecnico, ma per la signora che sta dietro un banco che differenza fa? Che impatto ha?

Cortiana: Il mio problema non è la signora dietro il banco, il mio problema è la signora che si organizza come imprenditrice dietro il banco, avere un’applicazione che è di sua proprietà, che può modificarla rispetto al tipo di clienti, a cui fa servizio a domicilio, in base a quello che fa. Quello che so è che nella pubblica amministrazione ha questa valenza e faccio un esempio molto preciso. La pubblica amministrazione si occupa di informatica da tantissimo tempo. La Provincia di Milano venti anni fa aveva un settore informatico che aveva una torre di avorio di tecnocrati, che oltre a fare le buste paga informatizzate, probabilmente passava il suo tempo a fare consulenze o a fare sistemi per il calcio, o per altre cose di questo genere. Io credo che l’adozione di software libero automaticamente non definisce e trasforma per magia, tutti i funzionari pubblici in programmatori. Però sicuramente la possibilità di mettere mano al codice sorgente, per adattare delle applicazioni costruisce una relazione, tra il funzionario pubblico che ha bisogno di esigenze particolari, che ha l’esperienza del settore di cui si occupa, mettiamo ad esempio il settore dei giovani, e il tecnico programmatore. Vuol dire una condivisione ed una relazione tra sapere e sapienza che ha un’importanza enorme. Tutto questo comporta e consente un contributo sociale straordinario. Però voglio tornare un passo indietro. La possibilità di condivisione del sapere e quindi di accesso all’alfabeto e ai codici sorgenti, invece, consente già oggi a milioni di persone di concorrere alla messa a punto delle applicazioni del software libero. Il software libero normalmente è più stabile, non ha buchi, perché sono milioni le persone che concorrono e hanno concorso a trovare il problema e la soluzione migliore, l’istruzione più rapida. Questo è perché a nostro avviso la pubblica amministrazione, che in quanto tale, dovrebbe rispondere a interessi generali, perché la politica pubblica risponde a interessi generali, deve adottare questo, ma in via privilegiata, non in via esclusiva, non contro la libertà del software proprietario, probabilmente anzi si definiranno nuovi equilibri all’orizzonte con standard aperti e quindi dialoganti tra software proprietario e software libero.

Domanda del moderatore (Don Nello Senatore) ai ragazzi: Chi ha capito la differenza tra software libero e software proprietario?

Risposta: Con il software libero ognuno può mettere mano, quindi personalizzarlo, invece con il software proprietario ognuno deve utilizzarlo senza avere la possibilità di personalizzarlo.

Moderatore (Don Nello Senatore): il senatore parlava di alfabeto, un esempio è fra parola e linguaggio. La parola è di tutti, il linguaggio è un’impalcatura con dei codici precisi in cui c’è comunicazione.

Attilio Barra: Sono laureato in Scienze delle comunicazioni e da 25 anni sviluppo quella che secondo me è una professione, anche se poi sono iscritto, con la mia azienda, all’Associazione industriali, ho il contratto metalmeccanico.

…il senatore facendo degli esempi ha paragonato all’automobile o alla scatola di caramelle o quant’altro. Il software non è un prodotto assimilabile. Però è un prodotto, che per sviluppare con certi criteri e certi crismi di qualità ha bisogno di grossi investimenti. Software libero non significa software gratis, a discapito del produttore, però significa comunque software aperto. Intanto io mi chiedo come si possa intervenire con delle personalizzazioni sul software di cui non si abbia la documentazione tecnica, analitica precisa. Molte volte a noi stessi produttori, intervenire su un software applicativo che abbiamo sviluppato anni fa costituisce non poche difficoltà, proprio perché è frutto di ingegno e quindi suscettibile, al di là degli standard che il titolare dell’azienda se è esperto ha voluto dare, i collaboratori hanno una loro capacità di esprimere e quindi non sempre si riesce poi a risalire alla logica che ha seguito per realizzare quella applicazione. Quindi se è difficile per chi ha prodotto, sarà assurdo per chi lo ha acquistato e semplicemente lo utilizza, poter intervenire in maniera efficace sull’applicativo. E’ il punto di vista di chi ha investito 25 anni in questa attività. E’ importante che se ne parli in Parlamento, comunque. La pubblica amministrazione ha la necessità di poter verificare certe acquisizioni che fa in termini di software. Però io le chiederei, senatore, di intervenire prima su un’attività di disinquinamento della pubblica amministrazione, perché ci giochiamo, se viene fuori l’obbligo di lasciare i sorgenti della pubblica amministrazione, al 90% non ne faranno l’uso per cui lei sta lottando, al 90% ne faranno una sottrazione di software.

Intervento (dott. Ettore Panella): Secondo me, non hai scelto l’interlocutore giusto, l’interlocutore giusto è l’ing. Rubini, perché se un ragazzo dice di voler copiare la musica di un dato cantautore, lo capisco, è una scelta economica. Ma se l’autore dicesse di voler dare la musica gratis, lì mi sorgerebbe un dubbio. E l’ing. Rubini è uno che vive col software e questo mi lascia molto perplesso, e che sicuramente interessa i ragazzi che si stanno avviando ad una nuova professione. Questa domanda può interessare i ragazzi che stanno per fare delle scelte. Molti sono della quinta, devono scegliere se investire nel software proprietario o nel software libero, e il senso di questo incontro è anche dimostrare le due possibilità. La domanda è: ma voi come vivete? Altre domande sono: Dov’è il lavoro? Quale di queste scelte secondo voi per dei ragazzi del Sud, di Salerno, è migliore, gli darà maggiori risultati?

Ing. Rubini: Innanzitutto c’è questo mito del sorgente. Da una parte prendo un applicativo proprietario che sia della Corel, della Apple, o altro, faccio clic e questo si installa. Dall’altra parte prendo un applicativo libero, faccio clic e questo si installa. A me, non come professionista, ma come persona che utilizza solo il regolatore(?), il fatto che ci sia il sorgente non interessa. Però, se per caso, come diceva il senatore, mi trovo nella necessità di dover mettere le mani su questo sistema, posso farlo. Tutti hanno difficoltà a mettere le mani in sistemi vecchi, aggiungere un cavo in un impianto elettrico nuovo è assolutamente facile, mettere le mani nell’impianto elettrico di 30 anni fa è un bagno di sangue, non è che il software in questo è differente. La cosa importante per noi è che l’autore o il distributore degli applicativi, e dei sistemi operativi, non crei nei confronti dell’utente un rapporto di sudditanza. La maggior parte degli utenti comunque torneranno da quel fornitore, perché non possono mettere le mani, però se quel fornitore non c’è più, possono andare da un altro fornitore, che spesso a costi molto più alti può metterci le mani. Se io ho un’auto di una particolare marca, nell’officina di quella marca ci impiegano meno e costa meno. Lo so che è diverso, infatti secondo me il software non è un prodotto, non come dice lei è un prodotto diverso, non è un prodotto, è un servizio. Esiste l’agricoltura, esiste l’industria, esiste il settore dei servizi. Il settore software è informazione pura, come l’editoria, come la musica, è nel settore dei servizi. Quindi, secondo me, non esiste una industria del software. Io non la chiamo industria, perché è una produzione, una raccolta, una organizzazione di informazione. Il suo timore per l’organizzazione pubblica, lei dice se io gli do il sorgente, loro lo copiano. Ma se la licenza d’uso, che viene richiesta, permette la copia, è giusto così. Se l’amministrazione pubblica richiede un applicativo per fare una particolare cosa in trentamila copie, questo costa in lire 300.000.000 , da dividere per 30.000 copie. Se l’amministrazione pubblica ottiene dai produttori il permesso di copia e modifica dell’applicazione, la compra, altrimenti va da un altro fornitore. Questo fornitore risponderà che se il prodotto gli costa 300 milioni, chiede all’amministrazione pubblica 300 milioni. Il costo per l’amministrazione pubblica è lo stesso, il guadagno per il fornitore è lo stesso, però l’amministrazione pubblica non dipende fortemente dal fornitore. Ne dipende in qualche modo perché l’autore più facilmente può mettere le mani nel programma che ha scritto.

Dott. Iantorno: Va innanzitutto chiarito che cosa vuol dire codice, codice sorgente, questo è abbastanza importante. Il codice sorgente sono le modalità in cui si disegna e si realizza un’applicazione software. Queste modalità sono molteplici, nel senso che esiste un codice sorgente, qual è quello che viene prodotto da un normale linguaggio quale basic o C o Java etc. ma esistono anche strumenti a più alto livello che consentono la formazione di software senza scrivere il codice sorgente ma dando solamente, con l’aiuto di un’applicazione software le indicazioni su come questo codice viene prodotto. D’altra parte, il codice sorgente è un concetto ancora più generale perché come molti sanno, anche l’hardware di per sé è fatto come il software. La grandissima parte dell’hardware infatti è microcodice, l’hardware è fatto da elettronica abbastanza “stupida” e il resto dell’hardware è realizzato con microcodici. Allora immaginate una legge italiana che impone ai costruttori di hardware di pubblicare il microcodice, che significa pubblicare l’architettura, le proprietà dell’hardware? Pubblicare il codice significa pubblicare tutta l’intelligenza. Poiché non esiste in realtà una definizione unitaria di codice, pubblicare il codice alla fine significa pubblicare il disegno, l’intelligenza e come le funzionalità sono realizzate di un progetto software. Questo è un concetto che può essere applicato a tutti i settori industriali, è come se noi consigliassimo a coloro che disegnano una nuova linea di BMW, di pubblicare le modalità con cui il disegno della e del motore, che poi sono anche fatte come delle descrizioni software. Tra l’altro, ora, il linguaggio XML consente di scrivere qualsiasi prodotto industriale con modalità software. Quindi i prodotti industriali, e il software in particolare, non devono più avere “segreti” dal punto di vista della logica di disegno di questi prodotti, significa scomparsa della proprietà intellettuale. Questo va benissimo, io, come cittadino italiano potrei essere teoricamente d’accordo, però voglio che il parlamento e le commissioni che indagano e che studiano questo fenomeno rispondano alla seguente domanda: ma questo genererà maggiore innovazione oppure provocherà una fortissima crisi nel tessuto industriale? L’innovazione è quella che ci consente oggi di dire che prodotti come questo semplice portachiavi, piccolissimo, contiene 64 MB di memoria. Venti anni fa lavoravamo con floppy disk che avevano poche decine di KB di memoria. Su questo portachiavi posso permettermi di memorizzare tutti i miei dati e andare in giro e ho tutti i miei documenti, è provocato o no dall’innovazione che è stata fatta anche grazie agli investitori che sulla propria pelle hanno fatto questa scommessa e l’hanno proposta sul mercato? Io sono meridionale, e come meridionale credo che una delle forti fortissime leve di innovazione e di possibilità di progresso del Meridione sia la possibilità di far nascere aziende anche software che sulla base dell’impegno e della fatica delle persone possono andare sul mercato e prendere le risorse commerciali per continuare ad investire così come fanno nelle università della California, nella cintura di Boston e in altre parti del mondo.

Senatore Cortiana, in risposta al dott. Barra: Io ho fatto per circa due anni l’amministratore in Regione Lombardia, e uno dei servizi si occupava dei piani regolatori, quindi di aspetti fondiari e immobiliari. Anche lì gli architetti e gli urbanisti a volte utilizzavano una rendita di posizione, di sapere e di informazione, per tradire il mandato pubblico per cui erano lì e li ho mandati in galera o a casa. Il problema non è neanche se è difficile, non è che tutti diventano programmatori perché si usa il software libero. Io mi sono laureato in Statale a Milano in materie umanistiche, non saprei fare il suo lavoro, mi occupo di marketing e comunicazione. Non saprei fare un lavoro ingegneristico nell’informazione, per essere chiari. Però se un programma è anche difficile, se è vecchio, ma qualora io volessi, è da vedere se sono in grado, se trovo un ingegnere che sia in grado, qui stiamo parlando della proprietà della conoscenza. Io credo che una dimensione condivisa e partecipata favorisce lo sviluppo di protagonismo, anche sotto il profilo imprenditoriale, non solo sotto il profilo professionale, perché la gente diventa competente. Microsoft recentemente, cambiando una impostazione di marketing e comunicazione che aveva preso di petto la questione dell’open source e del software libero, per un anno, in modo anche abbastanza violento, chiamando demagoghi quelli come me, che da parlamentari se ne occupavano, invece ha introdotto recentemente l’ipotesi e la pratica di Shared code, cioè Microsoft dice: “A un cliente privilegiato che sceglie un partenariato preciso con me, attraverso un accordo, consento di vedere il codice”. Allora c’è già un primo passo, vuol dire che non è una cosa così idiota vedere il codice, però non gli consento di modificarlo. E io dico no! Va bene che Microsoft consenta questo, se ha dei prodotti che rispondono a delle esigenze, a delle necessità, che hanno mercato, è bene che faccia questo, ma devi consentire a chi invece sul mercato mette prodotti il cui codice non solo si guarda ma si può modificare, di farlo, per modificarlo avrà indubbiamente bisogno di ingegneri, creerà una relazione tra la sapienza di chi vive un determinato bisogno e il sapere degli ingegneri che adattando il codice vanno incontro a quel bisogno.

Moderatore: Vorremmo ora coinvolgere il popolo della scuola.

Dott. Panella: La cosa che a me interessa vedere è se grazie a questo convegno sono state capite le differenze.

Domanda di un’insegnante al senatore Cortiana : L’iniziativa della diffusione dell’hardware non poteva essere estesa anche ai docenti delle scuole che si trovano a dover fare di continuo aggiornamenti sul software, senza aver poi a disposizione personale degli strumenti, quale l’hardware.

Domande degli alunni:
Questo è ciò che accade in Italia e negli altri paesi?
Quali sono i prezzi del software libero e del software proprietario?
Domanda di un’insegnante: Il linux viene distribuito a prezzi molto competitivi, come mai il Windows ha prezzi così alti?
Per quanto riguarda gli standard del software libero, quali sono gli standard e delle regole per le modifiche?

Ing. Rubini: E’ vero che oggi è difficile definire cosa è il sorgente, però il sorgente è definito come la forma preferenziale per modificare un programma, per cui in base agli strumenti che si utilizzano il sorgente è in una forma o in un’altra forma. Riguardo allo sviluppo tecnologico, a me va bene che quando mi vendono un oggetto fisico, se l’oggetto fa il lavoro che mi hanno promesso che faccia, non mi interessa se è fatto con l’hardware intelligente o stupido e del microcodice, diverso è quando quello che si distribuisce è informazione pura, nel caso dei programmi che girano su elaboratori convenzionali generici. Per cui non vogliamo che i produttori dell’hardware ci diano i microcodici, l’importante è che ci diano le specifiche di programmazione. Invece che nel proprio dispositivo hardware mette software che non ha scritto lui, ovviamente non essendone autore, è vincolato da quello che l’autore gli permette. Quindi se io ho un palmare con un sistema operativo new linux devo avere insieme all’eseguibile, anche il sorgente, questo anche se non è possibile cambiare il software dentro alla macchina, perché in questo caso chi mi distribuisce l’hardware non ha scritto lui il programma, ma è vincolato. Attualmente chi distribuisce l’hardware con il suo software sceglie la propria forma. E su questo noi non mettiamo becco, se l’hardware è chiuso, se ha una funzionalità hardware e non una funzionalità semplicemente di informazione. Per gli altri paesi si sta discutendo in tutto il mondo di queste cose, in genere, anzi, le licenze d’uso che utilizziamo noi sono scritte in lingua inglese e non esiste una traduzione ufficiale in lingua italiana, in modo che tutte le discussioni si basino su un unico testo, che ciascuno potrà leggere in traduzione, ma quello che è realmente valido è il testo in lingua inglese. Il lavoro che c’è da fare, in Italia in particolare, è il lavoro di traduzione, perché molti programmi sono ancora solo in lingua inglese, però sono disponibili anche solo in lingua inglese, perché la copia è permessa. Sui prezzi, ogni produttore, ogni distributore fa i prezzi che gli servono per poter sostenere la propria attività, però se il software è libero c’è il permesso di copia per cui uno invece di vendere tante copie a poco prezzo, può vendere la singola copia al prezzo che effettivamente all’industria costa. Questo succede anche nel campo medico e legale, sono settori commerciali che si basano solo sull’informazione e tutta la informazione è pubblica. Per quanto riguarda gli standard, se il programma, non è possibile che il formato con cui cambia i dati o con cui comunica sia nascosto. Quindi se l’autore non documenta bene comunque possono trovarsi le informazioni, d’altro canto esistono degli organismi di tecnici, delle organizzazioni, dei consorzi che comunque si occupano di definire degli standard e in genere chi produce si adegua a questo standard per avere la interoperabilità. Se io modifico un programma che comunica secondo un certo standard e la mia copia non è più conforme a questo standard, ovviamente la mia copia non parlerà con gli altri programmi, ma non è un problema.

Senatore Fiorello Cortiana: In particolar modo voglio rispondere alla domanda sulla scuola. E’ evidente che sono riuscito a convincere allora Violante e Mancino, ma i soldi erano della Camera e del Senato, qua i soldi sono del Bilancio, ne dispone il governo, non la Camera e il Senato. Invece, nella recente e adesso passata alla Camera Riforma Moratti, sono riuscito a far passare un emendamento che traduce la ??? informatica berlusconiana in favorire e sviluppare quegli approcci che prevedono condivisione e cooperazione. Quindi la dizione non è esplicita, così non si suscita neanche tensioni ideologiche, di mercato, di operatori, su software libero, di proprietario, però indubbiamente dà un segno coerente con quanto detto finora, per cui a mio avviso gli alfabeti sono un bene universale, che deve restare nelle disponibilità pubbliche di queste e delle future generazioni. Oggi ho letto sui giornali che Berlusconi ha detto che riempirà di computer le scuole, spero che sia vero e lo vedremo. Proporrò, ne ho parlato con il ministro Moratti e lei mi ha dato disponibilità, di fare una commissione di indagine parlamentare che ha una struttura e delle autonomie particolari, per cui mi sono proposto come presidente per verificare la condizione attuale nella scuola, della vicenda informatica, in genere, e per verificare le possibilità e le vie di riduzione di un gap evidente tra una società dell’informazione che è quella in cui viviamo e la natura della comunicazione. Ci sono 35 milioni di africani che probabilmente moriranno perché sono sieropositivi o possono diventarlo con buona probabilità, e non avranno a disposizione farmaci, perché le multinazionali del farmaco hanno messo un veto rispetto alle possibilità che i principi brevettati dei loro farmaci potessero essere riprodotti in farmaci fatti in loco che avessero lo stesso uso. Il risultato sarà che più persone moriranno. Ora ho detto questo non per fare della facile demagogia a effetto, ma per dire che credo che questioni come la salute delle persone e del pianeta, le informazioni e la conoscenza, il diritto siano parte dell’interesse generale e in qualche modo sono le imprese nella loro legittimità che devono fare i conti con questo interesse generale. Non può accadere che l’interesse generale venga subordinato all’esigenza dell’impresa che è giustamente fare profitto comunque. Possibilmente con minor costi, minori diritti da pagare etc. Quindi la questione della proprietà della conoscenza, non soltanto su algoritmi, ma anche rispetto la sfera biologica, ha a che fare con la battaglia che è in corso a Porto Alegre e a Davos, dove un presidente come Lula sarà dall’una e dell’altra parte a porre le stesse questioni, come rendiamo un mondo non solo più giusto, ma possibile, perché viceversa ci esplode tra le mani con guerre e disastri.

Dott. Iantorno: Vorrei iniziare con un completamento sulla disquisizione sulla nozione di hardware. Chi sa cosa è un Router? Il Router è un computer che è alla base della infrastruttura internet del mondo. E’ un computer e le funzionalità di routing sono completamente realizzate via software attraverso un sistema operativo che è il sistema operativo di rete. Il router è uno dei pezzi più proprietari che esistono, e il livello di dominio di quel mercato è sicuramente maggiore di quello che la Microsoft ha sul software. Il senatore si è mai occupato di rendere libero il codice che sta nei Router? Che controllano la nostra infrastruttura internet nel nostro paese e nel mondo? Il teorema che la proposta di legge del senatore Cortiana sostiene può essere sintetizzato in pochissime parole. Il senatore praticamente dice di non voler limitare la libertà commerciale, il software proprietario vada pure avanti, se vuole, però dal punto di vista preferenziale si consigli, per esempio alle pubbliche amministrazioni che chiunque voglia fare business pubblichi i codici. Ora, se io pubblico il codice del mio prodotto, posso ancora essere sul mercato? Non è possibile. Ci sarà un altro che produce la stessa cosa per cui io sono obbligato a mettere un prezzo che è praticamente zero. Esiste la possibilità per un’azienda software di sostenersi così. Mandrake è appena fallita, Redhat, su 70 milioni di dollari di fatturato, fa 50 milioni di perdite? Non esiste alcun esempio al mondo di azienda software che si sostiene con il software open source. Allora perché Windows ha un prezzo? Perché dobbiamo pagare i programmatori. Non possiamo sviluppare Windows nel week end o di notte, i programmatori devono essere pagati. Il mio punto di vista è il seguente, le leggi, il Parlamento e le istituzioni pubbliche dovrebbero in primo luogo fare uno sforzo per capire quali sono le modalità perché l’informatica italiana possa generare innovazione e competitività. Per cui, io personalmente, anche come cittadino italiano, non vedrei di buon occhio regolamentazioni che limitino la possibilità del settore commerciale del software, di operare in maniera completa nel pieno rispetto della comunità. Io ho gran rispetto tuttavia per il movimento open source e tutto quello che ci sta dietro in senso collaborativo, di produzione di software in maniera collaborativa fra decine, centinaia di migliaia di persone, ma non credo francamente che quello possa essere una premessa perché il software diventi commercialmente valido. Se fossi in voi ragazzi, non mi preoccuperei della sottile differenza che ci sta fra open source e software commerciale, ma mi occuperei dell’informatica e basta, cercherei di capiral, produrrei del software, userei del software, penserei all’innovazione ed al progresso che l’informatica sta dando.

Moderatore(Don Nello Senatore): Resta la domanda, “Software libero o software proprietario?”

Dott. Panella: La domanda era provocatoria. Il nostro scopo non era arrivare ad una conclusione, ma dare su questo argomento agli insegnanti, alle scuole, ai ragazzi, l’idea che vi fossero delle cose diverse da quelle che normalmente si conoscono. Esistono molti programmatori che lavorano per Microsoft, e molti che hanno scelto la strada del software libero. Il sito della Microsoft è www.microsoft.it, il sito del software libero, www.softwarelibero.org. Potete visitarli, farvi una vostra idea, ma oggi sapete che c’è questa differenza, che tanti non sapevano.

 
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